ULTIME NOTIZIE SU HOMO NALEDI

A che punto è la straordinaria scoperta antropologica dell’Homo naledi, avvenuta pochi anni fa in Sudafrica? Come sono proseguite le conoscenze su questa “nuova” specie umana?

 

Nel 2016 abbiamo avuto il piacere di ospitare Damiano Marchi, un antropologo che partecipa al progetto di studio su questa scoperta.

Il Prof. Marchi, autore anche di un saggio preliminare sulla scoperta, ci ha raccontato in tale occasione tanti dettagli sulla scoperta, coinvolgendo il pubblico anche con il suo grande entusiasmo.

In sintesi, si può dire che Homo naledi è stato scoperto nel 2013 in un sistema di caverne in Sudafrica, chiamato Rising Star. Più di 15000 reperti fossili sono stati trovati e costituiscono il più ricco sito antropologico Africano.  Alcune caratteristiche rendono simili Homo naledi a noi, altre lo rendono invece più distante, costituendo un mosaico unico nell’evoluzione umana.

Uno dei temi più vivi, ci ha raccontato Damiano, è la datazione di questi resti, che ancora, all’epoca della sua conferenza, non era nota.

Poco tempo dopo una serie di indagini eterogenee ha risolto il mistero e dato una giusta collocazione cronologica a questa scoperta.

Leggiamo il sintetico ed esaustivo articolo di un altro illustre antropologo italiano, Giorgio Manzi, ordinario di antropologia alla Sapienza di Roma e autore di numerosissimi saggi.

Il prof. Manzi, nell’articolo La (sorprendente) datazione di Homo Naledi, in Ultime notizie sull’evoluzione umana, Il Mulino, 2017, pp. 82-84, spiega in sintesi la dinamica della datazione.

“Riassumiamo. L’ultima nata fra le specie del genere Homo venne presentata nel settembre del 2015 sulla nuova rivista interdisciplinare “eLife”. Contemporaneamente, la notizia occupò molte pagine del “National Geographic” dello stesso mese, con tanto di copertina, ed ebbe una notevole quanto meritata visibilità su quotidiani, periodici, siti web, radio e TV. La nuova specie venne denominata Homo naledi. Quella della Dinaledi Chamber è una scoperta davvero straordinaria, essendo basata sulla ricchissima messe di fossili (circa 15.000, rappresentativi di almeno quindici individui) rinvenuti nell’angusta Dinaledi Chamber del sistema carsico di Rising Star, all’interno dell’area nota come Cradler of Humankind in Sudafrica.

Lee Berger, leader di questa avventura paleoantropologica, e suoi numerosi colleghi ora dicono di aver ottenuto una datazione per i resti di Homo naledi e il risultato è davvero sorprendente: circa trecentomila anni fa; niente, rispetto alle attese.

Non solo. Dicono anche di avere scoperto nuovi scheletri della stessa specie in un’altra cavità dello stesso sistema carsico. Si può leggere tutto questo in tre pubblicazioni comparse sempre in “eLife” il 9 maggio del 2017.

Diamo prima un’occhiata ai nuovi fossili. Sono stati scoperti in un altro recesso dello stesso sistema carsico: la Lesedi Chamber. Si tratta dei resti di individui sia adulti che immaturi: almeno tre, al momento, ma diversi indizi fanno pensare che ce ne siano di più. Un reperto particolarmente significativo è il cranio denominato LES 1, relativamente voluminoso, ma comunque ascrivibile alla stessa specie dei resti della Dinaledi Chamber.

Vediamo ora la datazione. Come sappiamo questo era il punto debole della scoperta annunciata nel 2015. I reperti erano stati rinvenuti sul fondo di un profondo antro, senza che strati sovrapposti facessero da riferimento, senza che resti significativi di altri animali indicassero una pur vaga cronologia e senza che alcun metodo di tipo fisico – chimico potesse essere facilmente applicato.

A dispetto di questo scetticismo, una serie di date sono state ora ottenute combinando sapientemente diversi procedimenti analitici (luminescenza otticamente stimolata, serie dell’uranio, paleomagnetismo, risonanza di spin elettronico) applicati a concrezioni, sedimenti e gli stessi fossili umani. Da qui un intervallo di probabilità compreso fra 236 mila e 335 mila anni dal presente.

Siamo dunque nella seconda metà del Pleistocene medio, un’epoca in cui eravamo convinti che in Africa ci fossero a quel punto solo le popolazioni più evoluto di Homo heidelbergensis (alcuni le riferiscono a Homo helmei), da cui intorno a 200.000 anni fa sarebbe comparsa la nostra specie, Homo sapiens. Invece laggiù, in Africa meridionale, nel Pleistocene medio c’erano anche degli esseri umani di aspetto molto più arcaico e di piccole dimensioni: Homo naledi. Per questo la data appena resa pubblica è sorprendente. E’ parecchio più recente di quanto fosse atteso per una specie che mostra caratteristiche comparabili a quelle di specie umane primordiali, datate intorno a 2 milioni di anni fa (in effetti, in molti avevamo ipoteticamente riferito i resti di Dinaledi Chamber proprio a quell’epoca). Possiamo dunque affermare che nel Pleistocene medio esisteva in Sudafrica più di una linea evolutiva di nostri parenti estinti. Se le cose stanno così, Homo naledi è da interpretare come una varietà superstite dei primi Homo.

C’è infine una morale. Questa nuova scoperta dimostra perché è inutile, anzi è sbagliato cercare di prevedere l’età di un fossile basandosi solo sul suo aspetto; al tempo stesso, ci conferma che una buona datazione è solo quella ottenuta attraverso test indipendenti e quanto più numerosi e affidabili possibili”.

 

Insomma Homo naledi è uno dei tanti cosiddetti “cespugli” dell’evoluzione umana, cronologicamente molto più vicino a noi di quanto potesse sembrare per alcuni aspetti. Per darci un’idea con alcuni utili riferimenti, quando Homo naledi, una specie che conservava ancora tratti tipici degli australopiteci, circola in Sudafrica, in un’Europa ricoperta di ghiacci domina il Neanderthal. Entro poco più di centomila anni, appare l’Homo sapiens, destinato a cambiare il corso della Preistoria … e poi della storia.