ARCHEOINCONTRI 2019: RICERCHE E STUDI. ECCO IL PROGRAMMA DEL NUOVO CICLO DI CONFERENZE

Comincia la nuova edizione di Archeoincontri, dedicata a ricerche e studi.Si parlerà di indagini, cantieri di scavo archeologico, temi di ricerca, procedimenti innovativi di studio e analisi. Il primo appuntamento è per sabato 30 marzo.

Placca in osso lavorato

ARCHEOINCONTRI 2019: RICERCHE E STUDI

PROGRAMMA

Sabato 30 marzo, ore 21.15

RIFLESSIONI SUL POPOLAMENTO ANTICO DELLA VAL TIDONE ATTRAVERSO LO STUDIO DEI MATERIALI METALLICI

Dott.ssa Caterina Bertaccini

Lo studio, dopo un inquadramento geografico territoriale e una generica presentazione delle aree archeologiche riscontrate nel territorio della Val Tidone, la vallata più occidentale del piacentino e della regione Emilia Romagna, si concentra sull’analisi di 36 reperti in bronzo che sono stati rinvenuti a seguito di raccolte di superficie nel territorio della vallata.

I reperti esaminati costituiscono prevalentemente oggetti di abbigliamento, come fibule, fibbie, elementi di cintura, appliques e monili legati alla sfera femminile come alcune armille, aghi crinali e un anello. È stato inoltre studiato anche  un interessante bronzetto votivo, ovvero un Signum Pantheum  e  un complesso di 11 bronzi di differenti tipologie dalle singolari modalità di rinvenimento.

L’analisi dei reperti e i relativi confronti hanno permesso di avanzare considerazioni specifiche riguardanti la presenza insediativa nella vallata, nel periodo romano e nel momento di passaggio fra tardoantico e altomedioevo. Alcuni siti ad esempio qualificati come ville urbano rustiche di età romana imperiale mostrano una frequentazione che perdura anche in epoca successiva, fino ai primi decenni del VII secolo; questa continuità è maggiormente attestata in siti disposti lungo una percorrenza di crinale che dalla Val Tidone si sposta verso Nord Ovest in direzione della stretta di Stradella e Pavia

Infine l’analisi dei reperti ha portato a considerazioni relative ai rapporti commerciali che interessano la vallata con territori e contesti produttivi anche a lunga distanza delineando quindi un profilo non marginale della Val Tidone ma evidenziandone un ruolo significativo.

 

Sabato 6 aprile, ore 21.15

ALTOMEDIOEVO ALLA PIANA DI SAN MARTINO

Testimonianze di vita di epoca altomedievale dalla Val Tidone

Prof.ssa Elena Grossetti, ispettore onorario per l’archeologia del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza

Il sito archeologico della Piana di San Martino si sviluppò in corrispondenza di un pianoro sopraelevato, naturalmente difeso da pendii scoscesi, pertinente ai primi rilievi dell’Appennino piacentino, a circa 512 metri di altitudine s.l.m. Le indagini, effettuate sotto la direzione dell’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna (attuale SABAP PR PC), dopo alcuni saggi esplorativi nei primi anni ’90, a partire dal 2000 sono riprese in maniera sistematica, riportando alla luce varie strutture e recuperando una quantità imponente di materiali di interesse archeologico pertinenti a due periodi ben distinti di frequentazione del sito. Una prima fase è infatti riconducibile ad epoca pre e protostorica, con testimonianze databili all’età del Bronzo e alla seconda età del Ferro, mentre la seconda ebbe inizio in età tardoantica e si articolò lungo l’arco di tutto il Medioevo.

Le testimonianze relative a questo periodo sono complessivamente riconducibili ad un insediamento fortificato d’altura, il cui impianto, rapportabile cronologicamente alle ultime fasi dell’età antica sulla base dei reperti fino ad ora riportati alla luce, troverebbe una ragione d’essere sia nelle esigenze di militarizzazione del territorio in un periodo caratterizzato da una notevole instabilità, sia nelle trasformazioni dell’assetto viario e di popolamento caratteristici dell’epoca.

La vocazione difensiva sarebbe confermata anche dalla denominazione medievale, in quanto l’abitato è attestato nei documenti d’archivio, a partire dall’816 d.C., con il toponimo di Castrum Pontianum.

Nel corso delle indagini eseguite fino ad ora sono stati indagati quattro distinti settori denominati rispettivamente Saggio 1, Saggio 4, San Martino Piccolo e San Martino Piccolo (base).

Le testimonianze riportate alla luce nel Saggio 1 sono state ricondotte ad una destinazione prevalentemente abitativa, dal momento che sono stati identificati un forno dal caratteristico fondo costituito da tegole, un’imponente cisterna a due vani comunicanti e due ambienti in muratura contraddistinti come vani 2 e 3.

Quest’ultimo conobbe una seconda fase di utilizzo, durante la quale sui resti della struttura precedente venne impiantata una capanna, di forma rettangolare, che ha restituito una serie straordinaria di reperti attestanti l’esistenza della fucina di un faber-aurifex attivo, come suggerisce in maniera abbastanza precisa la tipologia delle asce, in età longobarda.

Nel saggio 4, posto in corrispondenza del limite occidentale del pianoro principale è stata invece individuata una struttura interpretata come un edificio religioso con annessa un’area sepolcrale costituita da sepolture ad inumazione prive di corredo.

Di più complessa lettura risultano invece i resti individuati sul San Martino Piccolo, una propaggine posta ad oriente della Piana di San Martino, rispetto alla quale risulta sopraelevata di circa 10 metri, strategicamente assi rilevante.

Le indagini hanno consentito di riportare alla luce una realtà insediativa di notevole complessità, testimoniata da strutture in muratura riconducibili a tre distinte fasi edilizie purtroppo di difficile lettura, per le quali è stata proposta una destinazione d’uso di carattere difensivo coerente con le altre testimonianze medievali emerse nei settori attigui già esplorati.

Tali ipotesi interpretative delle evidenze archeologiche trovano peraltro un riscontro significativo in una cartula venditionis del 1033 nella quale è registrata la vendita di una proprietà, definita loco et fundo Ponciano, cum castro et turris seu muros circumdatum et capella una infra eodem castro consacrata in nore sancte Dei genitricis Marie et sanctorum Martini et Georgi, le cui importanza ed ubicazione  sono confermate dalla dettagliata menzione di una notevolissima serie di pertinenze dislocate proprio nel bacino della media valle del Tidone.

 

Sabato 11 maggio, ore 21.15

UNA MONETA PER L’ALDILA’. L’OBOLO DI CARONTE TRA TESTIMONIANZA LETTERARIA E RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI

Dott. Alessandro Bona, Dottore di ricerca, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

In alcune fonti greche e romane (Aristofane, Callimaco, Strabone, Apuleio…) si menziona un rito, legato al momento delle esequie funebri, definito dagli studiosi contemporanei “obolo di Caronte”. Poiché le anime dei morti avrebbero dovuto attraversare «il lago molto esteso e senza fondo» (Aristofane, Le rane, vv. 140-141) che separa il mondo dei vivi dall’Aldilà, era necessario avvalersi dei servigi del traghettatore Caronte, che in quel luogo stazionava con la sua barca a remi. Questi avrebbe dunque preteso il pagamento di una piccola somma in denaro, una o due piccole monete in bronzo (oboli per il mondo greco, assi per quello romano). L’anima avrebbe potuto versare la tariffa con le monete che i parenti gli avevano, al momento del funerale, inserito all’interno della bocca. Fin qui la tradizione letteraria. Ma questa particolare ritualità trova riscontri dal punto di vista dei ritrovamenti archeologici? Quando e dove si sono rinvenuti defunti accompagnati da monete? E queste, si trovavano sempre nella bocca o anche altrove?

L’attenzione che le fonti letterarie antiche hanno dato al rito ha portato da un lato, in alcuni casi, a sovrastimare il fenomeno, dall’altro al rischio di fornire interpretazioni frettolose. Tutte le monete rinvenute entro una tomba possono essere definite “obolo di Caronte”? In realtà solo il rigore dell’archeologia stratigrafica applicata all’ambito funerario ha permesso, in questi ultimi anni, di raccogliere dati che in passato non erano considerati, come la posizione, finanche millimetrica, della moneta nella sepoltura o la microstratigrafia ad essa connessa, consentendo interpretazioni fino ad alcuni decenni fa non percorribili. In questo modo è ora possibile valutare in maniera più scientifica il fenomeno, comprenderlo e distinguere più chiaramente ciò che è “obolo di Caronte” da ciò che non lo è. E questo percorso interpretativo non è stato esente da sorprese, anche inaspettate, prima fra tutte la distanza del dato reale dalla tradizione riportata dalle fonti.

Nell’intervento in oggetto verrà data particolare attenzione ad alcuni casi di ritrovamenti effettuati nella Cisalpina romana, illustrando in particolare parte della documentazione funeraria e numismatica rinvenuta presso uno dei centri di riferimento di tale comparto territoriale, la città di Mediolanum. Nella seconda parte dell’intervento, invece, verranno esaminati alcuni dei corredi funerari con i relativi “oboli di Caronte” conservati presso il Museo Archeologico Lomellino di Gambolò, cercando di inserire, nel quadro più generale del fenomeno, quanto è noto dal territorio gravitante attorno al centro pavese.

Alessandro Bona, archeologo e numismatico, è dottorando di ricerca presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con un progetto dal titolo  “Dalla documentazione monetale alla ricostruzione della storia economica e sociale di una città romana. Il caso di Mediolanum“. La ricerca riguarda lo studio di monete rinvenute in scavi archeologici nell’area di Milano a partire dagli anni ’80, per la grandissima parte inedite, con una particolare attenzione ai contesti di provenienza. Presso lo stesso Ateneo ha svolto in numismatica sia la tesi di laurea triennale sia la tesi di diploma di specializzazione. Dal 2014 è Cultore della Materia presso la cattedra di Numismatica della quale è titolare la professoressa Claudia Perassi e dal 2018 è membro della segreteria editoriale della rivista scientifica “Dialoghi di numismatica. Protagonisti, prospetti, ricerche”. Tra i suoi principali campi di interesse figura l’interpretazione della documentazione numismatica proveniente da scavo archeologico.

 

Sabato 18 maggio, ore 21.15

CASTELSEPRIO:

INDIRIZZI PER UNA PRIMA COMPRENSIONE DEL COMPLESSO CASTRENSE

Dott.ssa Paola Marina De Marchi, già Direttore del Parco archeologico e Antiquarium di Castelseprio, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Prof.ssa Caterina Giostra, Università Cattolica di Milano

Castelseprio per estensione delle mura e per la conseguente ampiezza della superficie protetta, per gli edifici abitativi e di culto, per l’organizzazione degli spazi di tipo quasi urbano, si qualifica attualmente come il più importante castrum tardoantico ed altomedievale della Lombardia, seguito da Lomello.

Verranno presentate, quindi, le caratteristiche qualificanti del sito seguendo un percorso che, interno alle mura, sia pertinente l’area del pianalto distinta da abitazioni civili caratterizzate da differenti tecniche costruttive e da manufatti produttivi, sia la chiesa pievana di S. Giovanni con il Battistero e l’annessa area cimiteriale solo parzialmente scavata. L’illustrazione del complesso castrense si limiterà a considerare quanto finora pubblicato, tralasciando gli scavi inediti e non pubblicati.

Infine, ci si soffermerà brevemente sulle indagini archeologiche condotte in questi ultimi anni, presentando l’utilizzo delle tecniche diagnostiche eseguite prevalentemente tramite LIDAR (Light Detection and Ranging o Laser Imaging Detection and Ranging) nell’area del borgo esterno alle mura e di S. Maria foris portas.

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ARCHEOINCONTRI 2019