E LA ZATTERA DI ULISSE?

L’archeologia navale è un tema che al Museo Archeologico Lomellino trattiamo spesso con grande interesse. Analogamente tutto ciò che ruota attorno ad Ulisse ha un grande fascino. Così quando mi è ricapitato fra le mani l’articolo del Prof. Marco Bonino su Archeologica Viva 203, in un’analisi che mescola entrambi i temi con una bellissima lettura di un celebre passo dell’Odissea, non ho potuto esimermi dal riproporlo in questa sede.

Quando Ulisse decide di lasciare l’isola della ninfa Calipso, dove è rimasto per sette anni, per tornare a Itaca, Omero racconta che l’eroe costruisce l’imbarcazione con cui partire.

Il racconto è molto particolareggiato e tecnico. La tradizione ha interpretato il termine usato per il natante, ovvero il greco schedìa, in “zattera”. Marco Bonino si domanda come mai un marinaio di grande esperienza come Ulisse si cimenterebbe ad affrontare un viaggio, in mare aperto e lungo centinaia di chilometri, con una soluzione del genere, abbastanza pericolosa. Sorprendono soprattutto i dettagli descrittivi di Omero, adatti ad una nave mercantile. Viceversa i termini utilizzati non sono adatti ad una zattera.

Il Prof. Bonino ricorda che Lionel Casson (1914-2009), specialista di storia marittima alla New York University, già nel 1971 aveva riconosciuto nel passo omerico “poco meno di un manuale per la costruzione di una barca”. Secondo questo studioso Omero racconta lo stadio culturale di naupegos, un maestro d’ascia e la nave arcaica di Gela (VI secolo a.C.), di pochi secoli successiva al poema, ne sarebbe un ottimo esempio.

Partendo da queste basi, il Prof. Bonino ha proposto una nuova e affascinante traduzione del passo omerico (Odissea, V, 241-261):

Egli tagliò i tronchi e l’opera fu breve. Ne tagliò venti in tutto, poi li sgrossò con il bronzo, li levigò bene e li fece dritti a fil di squadra. Intanto la divina Calipso gli portò i trivelli; egli forò tutte le tavole, le legò insieme e le assicurò con biette e cavicchi. Come un uomo dà forma tonda al fondo di una grande nave da carico, uno che ben conosca l’arte dei costruttori, così Ulisse si affaccendava attorno alla grande imbarcazione. Pose i mezzi ponti avendoli collegati a fitti staminali e poi completò (lo scafo) con il capodibanda. Nella barca pose l’albero e il pennone ben adatto, pose il timone per farla andare dritta, poi la cinse tutt’attorno con graticci di vimini a difesa dai flutti e vi mise molta zavorra. La divina Calipso gli porse il lino per fare la vela ed egli fece tutto per bene: vi legò i bracci gli imbrogli e le scotte e con leve spinse la barca nel mare divino”.

Si tratta della descrizione precisa delle fasi della costruzione di una antica nave mercantile a guscio, come confermato anche dai relitti antichi: biette, cavicchi, mezzi ponti (castello di prua e cassero), staminali, capidibanda.

A questo punto Ulisse può lasciare l’isola di Calipso su qualcosa di più solido per cercare di tornare a Itaca.

Bibliografia:

Archeologia Viva n. 203

L.Casson, Ships and seamenship in the ancient world, Princeton, 1971

Marco Bonino, Argomenti di architettura navale antica, Felici, Pisa, 2005 e 2007

Marco Bonino, Navi mercantili e barche di età romana, L’Erma di Bretschneider, Roma, 2015